Sergio Boschiero, alfiere
della difesa dell'Unità Nazionale, in occasione del 150° anniversario
della proclamazione del Regno d'Italia, fu un attivo protagonista del
dibattito sviluppatosi attorno alle teorie dei revisionisti storici.
Boschiero replicava con fatti e documenti a congetture e illazioni
prive di fondamento storico, ma ben infarcite di ideologia. Nel numero
di Novembre/Dicembre 2010, il mensile "Storia in rete", diretto da
Fabio Andriola, chiese a Boschiero un approfondimento su un avvenimento
significativo della lotta contro il Brigantaggio: il massacro di 44
soldati iitaliani e la distruzione dei comuni di Pontelandolfo e
Casalduni. Avvalendosi della documentazione reperita presso l'Ufficio
Storico dello Stato Maggiore dell'Esercito e varie testimonianze
dell'epoca, Boschiero ha ricostruito la vicenda. Riproponiamo
integralmente l'articolo di Storia in Rete.
ESERCITO E BRIGANTAGGIO. LA
STORIA
DI UN COMUNE RIBELLE E DEL MASSACRO DI 44 SOLDATI ITALIANI.
di Sergio Boschiero, da Storia in Rete - novembre-dicembre 2010.
Lo
scorso settembre il Consiglio
Comunale di Pontelandolfo, caratteristico paese del beneventano con
poco più di
2.000 abitanti, si è attribuito lo status di “città martire”, nel
ricordo della
dura rappresaglia dell’Esercito Italiano, seguita all’eccidio di 44
giovani
militari impegnati nella guerra al brigantaggio. Già il 14 agosto, per
la
commemorazione ufficiale del 150° anniversario della rappresaglia, il
Comune ha
avuto la partecipazione di Giuliano Amato in veste di Presidente del
Comitato
dei Garanti per i 150 anni dell'Unità d'Italia e di rappresentante del
Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Amato, a nome della
Repubblica
Italiana, ha chiesto ufficialmente scusa alla piccola comunità per i
fatti del
1861. Ma cosa avvenne davvero 150 anni fa e perché si è voluto un atto
pubblico
riparatore?
Il paese si
chiamava e si chiama
Pontelandolfo, nell’alto Sannio, in provincia di Benevento. Nel 1861
era punto
di ritrovo di briganti. Il 7 agosto 1861, celebrandosi a Pontelandolfo
la Festa
di San Donato, Protettore locale, il paese si risvegliò con il suono
delle
campane di tutte le chiese e la processione divenne per i briganti,
accorsi a
centinaia, l’attesa occasione per mimetizzarsi fra i fedeli e scatenare
l’insurrezione contro lo Stato e le ancor giovani Istituzioni unitarie.
I
Briganti assalirono gli uffici municipali, la polizia e depredarono le
botteghe. Riuscirono così ad annientare la presenza dello Stato e ad
impadronirsi del paese. Anche due comuni limitrofi insorsero: Casalduni
e
Campolettere. Doveroso da parte delle Istituzioni dover intervenire e,
alla
guida del Luogotenente Luigi Augusto Bracci, vennero mandati 40
Bersaglieri del
36° Reggimento e 4 Carabinieri per ristabilire l’ordine nella zona. I
soldati
italiani giunsero l’11 agosto 1861 a Pontelandolfo e non trovarono,
come ci si
poteva aspettare, un paese assediato dai briganti ma un villaggio
schierato coi
briganti che - aizzato anche dal clero locale – accolse i militari
attaccandoli. I soldati dovettero ritirarsi a scopo difensivo nella
torre
medievale, simbolo di Pontelandolfo e unica testimonianza
architettonica del
castello edificato nel XIV secolo e distrutto da un terremoto nel
giugno del
1688. Non riuscendo a sostenere la situazione decisero di ripiegare
verso la
limitrofa Casalduni, zona a torto ritenuta sicura. Questa scelta fu la
loro
condanna. Nello spostamento vennero attaccati dai briganti, supportati
dai
contadini di Pontelandolfo. Gli abitanti di Casalduni aspettavano
imboscati
l’arrivo dei militari e, forti per quantità, ci misero poco ad ottenere
la loro
resa e ad arrestarli. Poi ebbe inizio il massacro. Soltanto un
bersagliere
riuscì a fuggire. Gli altri 39 soldati, i 4 Carabinieri e il
Luogotenente
Bracci vennero letteralmente fatti a brandelli con una ferocia
inaudita.
Rendendosi conto della reale situazione in cui versavano le zone sulle
rive del
Cerreto, il 13 agosto giunsero a Pontelandolfo e Casalduni - guidati
dal Colonnello
Pier Eleonoro Negri - 400 bersaglieri commilitoni dei militari
massacrati due
giorni prima. Lo scenario fu agghiacciante: esposti alle finestre delle
case e
addirittura nella chiesa vi erano i sanguinanti ricordi a testimonianza
dell’eccidio perpetrato ai danni dell’Esercito Italiano. Non si
trovarono i
cadaveri dei soldati ma solo brandelli di essi. Il Tenente Bracci,
agonizzante,
venne assassinato da una donna che ne sfondò la testa a colpi di pietra
per poi
essere staccata. Il macabro trofeo era nella chiesa di Pontelandolfo,
infilzato
su una croce, orribile ex-voto sanfedista. Era troppo. Dopo la
fucilazione di
alcuni briganti, venne presa la drastica decisione di dare alle fiamme
i due
paesi. Il 14 Agosto 1861 tutta l’Irpinia guardò gli altissimi fumi
dell’incendio di Pontelandolfo e di Casalduni, i due antichi paesi del
Sannio
diventati rifugio, malgrado i tanti onesti, dei briganti filo-borbonici
e anti
unitari. Era la dura rappresaglia dell’Esercito italiano di fronte al
massacro
di quasi cinquanta giovani soldati della nuova Italia, catturati a
tradimento.
C’erano fra loro Carabinieri e Bersaglieri che difesero la bandiera
fino
all’ultimo. Il Massacro dei nostri militari avvenne a Casalduni ma i
soldati fuggivano
da Pontelandolfo. Vi
fu correità.
Scrive Carlo Alianello,
autore di libri
“reazionari” come L’Alfiere, L’eredità della Priora, I Soldati del Re -
tutti
caratterizzati da un avvincente stile letterario e pieni di passione
borbonica
– ne “La Conquista del Sud” (Milano, Rusconi, 1972): “il 7 Agosto 1861,
a
Pontelandolfo, per opera dell’arciprete Epifanio De Gregorio e dei
reazionari
locali, si fecero le solite cerimonie. Si alzò la bandiera
bianco-gigliata dei
Borbone, si bruciò in piazza la bandiera sarda (quella tricolore
sabauda ndr) e il prete cantò il Te Deum, per festeggiare l’auspicato
ritorno di Francesco II di cui si espose il ritratto.” E’ attendibile
in questo
caso la prosa di Alianello? Non c’è alcun dubbio, nessuno l’ha
contestata.
Ma nelle
cronache
dell’insanguinato 1861 un altro scrittore presentò con un verismo
asciutto gli
avvenimenti che visse da vicino nella qualità di inviato speciale al
seguito
dell’Esercito italiano nella guerra contro il Brigantaggio. Questo
scrittore è
Marc Monnier e la sua opera più nota fu “Notizie storiche documentate
sul
Brigantaggio nelle provincie napoletane dai tempi di Fra’ Diavolo fino
ai
giorni nostri” (Firenze, G. Barbera editore - 1862). Marc Monnier era
nato a
Firenze nel 1829, studiò a Napoli, a Parigi, a Berlino, a Ginevra, dove
insegnò
lettere straniere e divenne rettore della locale prestigiosa
università. Fu
amante dell’Italia e di Napoli. Ha goduto della fama di essere sempre
stato
obiettivo nei suoi rapporti. Scrive Maria Grazia Greco, Autrice di una
documentata recente pubblicazione intitolata “Il ruolo e la funzione
dell’Esercito nella lotta al brigantaggio (1860 1868)”, prefazione di
Aldo
Alessandro Mola, nella collana curata dall’Ufficio Storico dello Stato
Maggiore
dell’Esercito: “questo studio sistematico del brigantaggio rappresenta
forse
quanto di più obiettivo e fedele si possa trovare sulla essenza di
questo
fenomeno”. Ci troviamo di fronte ad una vera e propria dichiarazione di
attendibilità del Monnier.
Dal
capitolo VII, pagg. 96-97-98, questi gli argomenti trattati da Marco
Monnier (op.cit.):
[…]
La reazione repressa – il brigantaggio diminuisce – storia di cannibali
–
Pontelandolfo e Casalduni – loro delitto e loro castighi.
[…] Il 7 agosto
i briganti
chiamati da cinque canonici e da un arciprete invasero Pontelandolfo,
comune
sulla destra del Cerreto, nelle montagne. Accolti con gridi di gioia,
al
ritorno da una processione, saccheggiarono l’ufficio municipale, la
polizia, il
corpo di guardia, le botteghe, il precettore Filippo Lombardi,
settuagenario,
fu strappato dalle loro mani da sua moglie: entrarono di viva forza in
casa del
percettore Michelangelo Perugino, e dopo averlo ucciso, mutilato,
spogliato,
bruciarono la casa di lui e gettarono il cadavere nudo nelle fiamme. Ma
questo
non è nulla; tremila mascalzoni costituirono il governo: due villaggi
vicini,
Casalduni e Campolettere, insorsero. Quattro giorni appresso, l’11
agosto, 40
soldati italiani e quattro carabinieri furono inviati a Pontelandolfo
per
arrestare i briganti nella loro fuga. Non ebbero la pazienza di
attendere,
vollero attaccarli. Tutto Pontelandolfo fu sotto le armi. L’Ufficiale
italiano
(Luigi Augusto Bracci, Luogotenente del 36°) e i suoi quarantadue
uomini furono
assaliti e dovettero rifugiarsi in una torre. Dopo una vigorosa
resistenza,
ripiegarono sopra Casalduni […] Per via furono stretti e attaccati ai
fianchi
dalla gente di Pontelandolfo, poi arrestati da quelli di Casalduni, che
eransi
imboscati per attenderli. Circondati allora, sopraffatti dal numero,
furono
scannati tutti, eccetto un solo che ebbe il tempo di gettarsi in una
siepe e
narrò poi questa orribile storia. Non fu una carneficina, ma un
eccidio. I
contadini erano 100 contro uno e volevano tutti il loro pezzo di carne.
–
non invento nulla, anzi cerco di attenuare. La mattina giunge il
Colonnello
Negri cogli italiani: chiesero dei loro compagni; fu loro risposto che
avevano
cessato di vivere: domandarono i loro cadaveri: non furono trovati: essi stessi li cercarono e sorpresero
membra tagliate, brani sanguinosi, trofei orribili appesi alle case ed
esposti
alla luce del sole. Appresero che avevano impiegato otto ore
a dare morte a
poco a poco al tenente ferito soltanto nel combattimento. Allora
bruciarono i
due villaggi. “Giustizia è fatta contro Pontelandolfo e Casalduni” tale
fu il
dispaccio del colonnello Negri.”
Ancora sulla
strage dei soldati da
"Storia dei fatti di Pontelandolfo" del già sindaco di Pontelandolfo
Ferdinando Melchiorre Pulzella (Edizioni Sannite, Morcone - 2004): “Il
sindaco
filo borbonico di Casalduni Luigi Orsini, che provvedeva i briganti di
tutto
quanto avessero bisogno, pagò alcuni di essi per far sorvegliare i
soldati
fatti prigionieri. E quando il Capo Brigante Angelo Pica si rivolse a
lui per
chiedere cosa bisognasse fare dei prigionieri, rispose di fucilarli.
Così quei
poveri soldati caddero sotto colpi di fucile, di scure, di zappe e di
pietre.”
La cronache di
Monnier e di
Melchiorre Pulzella trovano l’autorevole riscontro nei verbali del
Regio
Esercito, conservati dallo Stato Maggiore della Difesa. Il Capo
dell’Ufficio
Storico, Colonnello Antonino Zarcone, nella presentazione del libro di
Maria
Grazia Greco (op. cit.) scrive: “Fu
una vera e propria guerra che venne condotta dai briganti, che spesso
animarono
anche gli animi e le armi della popolazione civile, contro i militari
“rei” di
essere servitori dello stato e di aver aggravato la già difficile
situazione
economica delle regioni del meridione. Nonostante gli errori e gli
innegabili
eccessi di violenza, subiti e, purtroppo, talvolta anche commessi, con
le inevitabili,
conseguenti polemiche sociali e politiche, ancora attuali, questa
dolorosa
pagina della storia del Regno d’Italia non deve e non può essere negata
o
dimenticata ma va approfondita e discussa sulla base di documentazione
scientifica ed ufficiale”. Quanto scritto dal Colonnello Zarcone ben si
adatta
ai fatti di Pontelandolfo e Casalduni.
I verbali della
rappresaglia sono
ancora conservati e, come è prassi dell’Esercito, sono minuziosi,
precisi e
chiari riguardo al modus operandi
dei
nostri soldati. Si attenerono ad una prassi che ben rifletteva lo
spaccato
dell’epoca. E' tutto nero su bianco, nessun mistero o tentativo di
censura
sull'azione dell'Esercito.
Nelle zone
meridionali dell’Italia
il brigantaggio può farsi risalire alla dominazione spagnola, seguita
alla pace
di Cateau-Cambrésis (1559). Detta pace consentì di stabilire il governo
diretto
della Spagna sulla metà della Penisola, compresi i Regni di Napoli e la
Sicilia.
Scrive lo
storico Giorgio Spini:
“Soffocatrice nel campo politico, la dominazione spagnola doveva
rivelarsi
assolutamente distruttiva dal punto di vista economico”. Spini scrive -
sempre
a proposito della Spagna - “nella sua ottusa rapacità militaresca, il
governo
spagnolo adoperava i propri domini altro che per spremere sempre nuovo
denaro e
per trarre soldati per le sue guerre. I Borbone ereditarono questa
situazione e
spesso si accordarono con i briganti, chiudendo un occhio sulle
illegalità
commesse”. Nell’estate 1828, regnando Francesco I, nel Cilento
esplosero
nuovamente proteste e richieste di una costituzione. Il Parroco del
paese di
Bosco (Salerno) era uno dei promotori di queste manifestazioni che si
estesero
ai paesi circonvicini. Da Napoli furono inviati ben 8.000 soldati,
comandati
dal Maresciallo Francesco Saverio del Carretto. Logicamente gli insorti
furono
sgominati ed in parte arrestati. Il 7 luglio il Paese fu interamente
dato alle
fiamme e fu sparso del sale sulle rovine. Numerosi gli insorti
fucilati, a
cominciare dal Don Antonio De Luca, parroco di Bosco. Altri 27 insorti
furono
decapitati e le loro teste esposte nella piazza. Il Paese non fu più
ricostruito, a seguito di un decreto di soppressione del 4 agosto 1828”
(H.
Acton, Gli ultimi Borboni di Napoli, Martello, Milano 1962).
Nell’agosto del
1861 nostri
soldati erano stati catturati e imprigionati nella torre angioina di
Pontelandolfo e, avvicinandosi due battaglioni di bersaglieri per
liberarli,
furono ceduti a Casalduni, sempre zona di brigantaggio, dove furono
massacrati
e dove il reato “più leggero” fu il vilipendio dei cadaveri. Mentre
Pontelandolfo si è data la qualifica di “città martire” con un
provvedimento
avallato il 14 agosto del 2011 dalle scuse del Prof. Giuliano Amato, il
Comune
di Casalduni non ha mai espresso una simile intenzione, avendo ben
presente che
il massacro dei soldati della nuova Italia ebbe luogo proprio a
Casalduni, di
fronte a centinaia di testimoni. Verbali d’epoca alla mano, l’Esercito
non ha
reputato accoglibile la richiesta di scuse espressa da Pontelandolfo e
non ha
mandato nessun suo rappresentante.
Nell’Italia
unita le Forze armate,
soprattutto i corpi di élite come quello dei
Bersaglieri, venivano
sempre difesi dalle istituzioni dello Stato. Così facendo l’Italia
superò le
gravissime difficoltà incontrate nelle guerre d’indipendenza,
trovandosi sempre
in sintonia con le sue Forze Armate.
Alla fine un
enigma: Marc Monnier
(op. cit.), ripreso anche da altre
pubblicazioni, scrive esplicitamente “volevano
tutti il loro pezzo di
carne”. Può essere questa frase contestualizzata nelle disparate
testimonianze
su il cannibalismo brigantesco? Sui fatti del 1861 probabilmente non è
ancora
stato scritto tutto…
Sergio
Boschiero
UN SERTO D’ALLORO AL COLONNELLO
PIER ELEONORO NEGRI
Comandava i
soldati del 36°
reggimento di linea più alcuni Carabinieri che furono tutti massacrati
a
Casalduni. Aveva quarantaquattro anni, era pluridecorato al Valor
Militare
nelle guerre di indipendenza, nacque a Locara (VI) da nobile famiglia
veneta.
Si ritirò dopo quaranta anni di servizio col grado di Generale e la
Gran Croce
dell’Ordine della Corona d’Italia. Il Comune lo ricorda ogni anno con
una
corona d’alloro sulla sua tomba. A Pontelandolfo, il 14 agosto scorso,
il
Sindaco di Vicenza - città “rea” di aver dato i natali al Colonnello
Negri -
durante l’intervento tenuto alla presenza del Presidente del Comitato
dei
Garanti per i 150 anni dell'Unità d'Italia Giuliano Amato, ha detto di
inginocchiarsi di fronte ai caduti della “Città Martire” e ha promesso
l’intitolazione di una via importante a quei morti. Vicenza ricorderà
ancora il
Colonnello Negri dopo questo gesto del suo primo cittadino?
L’ALTRA DESTRA: QUELLA
ANTIRISORGIMENTALE
Meraviglia,
addolora ed indigna che
proprio nel 150° della proclamazione del Regno e dell’Unità d’Italia,
mentre
negli altri settori politici si recupera il tricolore, da una certa
destra si
risponda con attacchi di bassa lega contro il Risorgimento. Un
sottosegretario
alla presidenza del consiglio, nonché leader di “Grande Sud”,
Gianfranco
Micciché, rivolgendosi da Campobasso ai candidati del suo movimento, ha
dichiarato tra l’altro: “Vi propongo di essere i nuovi briganti del
sud. Coloro
che, pur definiti dei delinquenti dai vincitori, in realtà difesero la
loro
terra”.
A quando la
beatificazione di
Salvatore Giuliano e di Carmine Crocco?
Il brigantaggio
ha trovato
estimatori soprattutto nel sud, generando una rivisitazione acritica e
faziosa;
i fatti hanno premiato il buonsenso e la fede patriottica della
stragrande
maggioranza degli italiani. I detrattori del Risorgimento e gli
apologeti del
brigantaggio hanno ceduto ad un vero e proprio culto del delitto.
PONTELANDOLFO - TRE VOLTE
INCENDIATA IN 1000 ANNI
3 incendi in
1.000 anni: nel 1138
dalle truppe di Re Ruggiero dei Normanni, nel 1461 con Ferdinando
d’Aragona e
Giovanni d’Angiò e nel 1861 dall’Esercito Italiano dopo il massacro di
44
soldati.
Per i
gravissimi eventi
dell’agosto 1861 furono denunciate 500 persone, ridotte a 146 dopo
l’istruttoria. Sono state diffuse cifre non credibili sul numero dei
morti
civili.
AL
REFERENDUM DEL 1946
Ottantacinque
anni dopo la
rappresaglia dell’Esercito, come votarono Pontelandolfo, Casalduni e la
provincia di Benevento al referendum del 2 giugno 1946?
Area Geografica
|
Monarchia
|
Repubblica
|
Nulli
|
Pontelandolfo
|
1.480
|
1.496
|
196
|
Casalduni
|
1.017
|
187
|
60
|
Provincia BN
|
108.220
|
42.541
|
10.298
|